La mola vescicolare è la patologia che dà il nome alla gravidanza molare.
Al momento del concepimento, come è noto, l’uovo è fecondato dagli spermatozoi, ma le cellule placentari agendo in modo anomalo portano alla formazione di un raggruppamento, non previsto, di cellule all’interno dell’utero materno; questo gruppo di cellule fuori dalla norma prende il nome di “mola”, la quale impedisce al feto di svilupparsi. Vi è infatti da un’alterazione dei villi coriali, i quali vanno incontro ad una trasformazione in vescicole (cisti), in conseguenza della quale non sono più in grado di assicurare gli scambi materno-fetali, ma conservano sia la proprietà infiltrativa sia quella endocrina, cioè come il trofoblasto normale.
La mola vescicolare si distingue in benigna o non invasiva e maligna o destruens. La mola benigna si distingue a sua volta in parziale e totale o completa in rapporto all’estensione. In entrambi i casi l’embrione può essere presente o assente.
La mola benigna in genere è parziale ovvero con la presenza di villi coriali a forma di grappolo d’uva e di aspetto normale (in questo caso potrebbe esservi il feto, ma non potendo svilupparsi, muore). Nella mola totale il processo interessa l’intera placenta con degenerazione cistica dei villi coriali e iperplasia diffusa del trofoblasto; in genere la mola totale è anembrionata.
Nella mola vescicolare invasiva il villo degenerato penetra nel miometrio e pur partendo da una forma di neoplasia benigna può evolvere in maligna e dar luogo al coriocarcinoma.
La mola vescicolare è stata correlata ad alcuni fattori predisponenti, capaci di determinare cioè un terreno favorevole all’insorgenza della malattia:
– anamnesi positiva per aborti o mola vescicolare
– è più frequente a meno di 20 anni e oltre i 40
– risultano più colpiti i soggetti malnutriti e meno abbienti
– l’incidenza della malattia trofoblastica presso le popolazioni orientali è di 1/126 gravidanze, mentre fra le popolazioni occidentali è di 1/3-4000
– risultano più colpite le donne di gruppi B ed AB e quelle che presentano isogruppo con il partner
– Gemellarità bicoriale
– Precocità del menarca
– Depressione immunitaria
Ben poco si sa sulle cause che la determinano; nel caso della mola completa potrebbero esservi cause genetiche di tipo paterno e dunque androgenetiche: due spermatozoi fecondano contemporaneamente un ovocita. In altri casi le ragioni potrebbero essere molteplici e difficili da individuare.
La sintomatologia è caratterizzata da perdite ematiche dai genitali, che iniziano di solito verso la decima settimana di gravidanza: sono d’entità variabile e irregolari: a volte sono di colore rosso vivo, a volte sono scure con coaguli. Si possono rilevare, sebbene raramente, gruppi di vescicole in mezzo al sangue, un sintomo importante per porre immediatamente la diagnosi.
Le perdite generalmente non sono accompagnate da dolore ma spesso si ha un senso di malessere al basso ventre. Se si verificano forti emorragie che determinano una rapida distensione della cavità uterina, possono però comparire forti dolori.
Durante la visita non si rilevano né parti fetali né il battito cardiaco fetale; le ovaie sono aumentate di volume, per la presenza delle cisti luteiniche. L’utero ha sempre un volume maggiore di quello corrispondente all’epoca di gravidanza e una consistenza particolarmente molle; vi sono inoltre tante vescicole che portano ad un aspetto definito a “tempesta di neve”. Molto importante è il dosaggio della gonadotropina corionica nelle urine: nella mola vescicolare il suo livello è sempre molto elevato. Il sospetto di mola si basa infatti su altissimi valori del betaHCG, sull’esclusione di una gravidanza multipla nell’ecografia e sulla presenza in utero di vescicole acquose anziché del feto.
Una volta accertata la presenza di mola vescicolare, occorre effettuare al più presto un raschiamento. Il puerperio deve essere poi seguito attentamente perché, a causa dell’alto potere infiltrante posseduto dalla mola, è possibile che frammenti di essa rimangano annidati nella parete uterina, continuando a riprodursi e a produrre gonadotropina corionica. Se tutto il tessuto della mola è stato espulso, le perdite di sangue cessano nel giro di pochi giorni, l’utero va incontro ad un normale processo d’involuzione e le cisti ovariche scompaiono dopo qualche settimana. Si osserva anche la diminuzione e la scomparsa della gonadotropina corionica dal sangue e dalle urine: la sua ricerca deve essere ripetuta periodicamente per almeno un anno dall’espulsione della mola, solo se persiste costantemente un esito negativo, si può essere certi della guarigione.
Se invece le betaHCG persistono o aumentano, si dovrà effettuare un altro raschiamento e ricorrere ad una monochemioterapia al fine di prevenire la formazione del coriocarcinoma, ovvero una complicanza della mola.
La mortalità causata dalla mola vescicolare o dalle sue complicazioni si aggira sul 5% dei casi. Tra le complicazioni, quella più temibile è rappresentata proprio dal corion-epitelioma, tumore estremamente maligno, che origina appunto dal corion; esso compare con una frequenza variabile dall’1 al 10% dei casi di mola vescicolare. Poiché tale tumore ha la capacità di produrre gonadotropina corionica, è comprensibile la grande importanza del dosaggio periodico di questo ormone nelle urine, dopo un caso di mola vescicolare e la necessità di un immediato ricovero in ospedale qualora esso rimanga presente dopo l’asportazione della mola.
Dopo una gravidanza molare, è consigliabile aspettare almeno 6 mesi /1 anno prima di cercarne un’altra, per non correre il rischio possa ripresentarsi.
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