Ho recentemente tenuto un corso ai medici di famiglia. Si parlava di bronchiti e riacutizzazioni bronchiali nelle forme polmonari croniche; ho detto loro che la maggior parte di queste forme flogistiche è di origine virale, per cui l’antibiotico non serve. E anche nei casi di sovrainfezione batterica ritardare di 5 giorni (in modo da capirne l’evoluzione) la somministrazione di detto farmaco, nulla cambia in termini di prognosi. Sul momento silenzio dalla platea, ma al termine dell’incontro mi si avvicina un collega commentando:
“ dici bene tu. Ma in linea teorica. Se io non prescrivo subito un antibiotico e la tosse perdura, chi lo sente il mio paziente? E se per caso decide di recarsi impropriamente in ps il medico di turno lo prescriverà sicuramente. Perché male non fa. E nell’immaginario del mio paziente quel medico sarà sicuramente più bravo di me. E se invece malauguratamente dovesse poi sviluppare una polmonite, secondo lui sarò stato io la causa con la mia titubanza nel prescrivere i farmaci. Detto questo ad ogni bronchite corrisponde la prescrizione di un antibiotico”.
Che dire? Mi ha lasciato a bocca aperta anche se so che succede così. Ho lavorato anni in pronto soccorso e so che nessun medico si esenterà dall’effettuare prescrizioni antibiotiche ad una persona che non vedrà più. Eccetto la sottoscritta che però spesso discuteva con i pazienti.
Ma avevo ragione io. La prescrizione di un antibiotico una volta su due non aiuterà a stare meglio.
Lo dice l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico): il suo ultimo studio evidenzia come nel 50% dei casi l’uso di questa tipologia di farmaci sia inappropriato o inutile. E nell’ambito della medicina generale il dato è ancora più allarmante perché l’inappropriatezza prescrittiva va da un minimo del 45% fino a picchi del 90%.
Un abuso, dunque, con due diverse problematiche, entrambe da non sottovalutare: da un lato ci sono i malati che prendono e pretendono medicine non adatte, dall’altro c’è un’intera popolazione che, negli anni, sta aumentando la resistenza agli antibiotici. Il rischio è serio: per alcune malattie, in futuro, potrebbero non esserci più le cure adeguate di cui disponiamo attualmente.
Secondo l’Ocse, un consumo di antibiotici più razionale potrà essere ottenuto soltanto con interventi che mirino a modificare il comportamento delle singole persone. Medici e pazienti devono essere educati alla gestione e all’uso appropriato di questi particolari medicinali. Ma prima ancora di avviare una campagna di comunicazione, ci sarebbe una soluzione più facile da realizzare e soprattutto immediata, ovvero rendere obbligatorio l’uso di test diagnostici rapidi. Individuato il bersaglio, per i medici non ci sarebbero dubbi sull’antibiotico adeguato da prescrivere. E non bisogna pensare che questi test possano gravare sulla spesa sanitaria; infatti il numero di antibiotici prescritti calerebbe al punto tale che il costo di questi esami potrebbe essere del tutto ammortizzato.
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