Qualche tempo fa passando con i miei bambini in via De Amicis, a Milano, abbiamo avuto modo di osservare il “muro di Bambole” (un muro nato da un’idea di Jo Squillo a cui hanno aderito, in segno di lotta al femminicidio, moltissimi protagonisti della moda; ospita ormai quasi 2 mila bambole su una superficie di circa centocinquanta metri ed è diventato simbolo di democrazia, rispetto verso la donna e libertà).
Ovvie e scontate le domande:”mamma, perché hanno messo lì tutte quelle bambole?”.
È stata l’occasione per spiegare loro di quella piaga sociale chiamata femminicidio.
Argomento assolutamente non facile perché nelle loro testoline di 8 e 4 anni non è contemplato che un marito possa uccidere una moglie, un uomo la fidanzata, un padre la figlia e non è neppure stato facile parlare in termini semplici senza creare inutili paure.
Ma devono sapere. Fin da piccoli.
Microba è una bimba, una bella bimba, deve sapere che in giro si possono trovare degli orchi, deve imparare fin da piccola che non deve sottostare a nessuna angheria, pretesa, ricatto, da parte di un essere di sesso maschile.
Anche se in realtà chi la conosce mi potrebbe dire che con il caratterino che si ritrova il rischio lo possono correre gli ometti.
Ma queste sono battute e crescendo non si può sapere cosa potrà succedere visto che noi donne spesso cerchiamo gli uomini sbagliati con il lanternino.
Supernano da maschio deve imparare i sentimenti puliti fin da piccolo, il rispetto verso l’altro sesso, la condivisione.
Mentre scrivevo questo post ho ripreso l’argomento spiegando loro che da anni l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne da celebrarsi il 25 novembre.
La data è stata proclamata in seguito alla tortura e all’uccisione nel 1960 delle sorelle Mirabal da parte del regime di Trujillo, nella Repubblica Dominicana, donne impegnate nella lotta di liberazione del loro paese.
Sono passati 54 anni ma il problema è più che mai attuale dato che la violenza maschile è la prima causa di morte delle donne in Italia come nel resto del mondo, non ha classe sociale né passaporto e nella maggior parte dei casi nasce tra le mura domestiche.
E purtroppo è proprio dietro l’angolo la praticano e la subiscono gli isospettabili.
E oggi il mio pensiero su tutti va a una persona a me cara che mi ha raccontato solo da poco di essere stata picchiata, saltuariamente-ma non sposta i termini del problema-dall’ex fidanzato.
A storia finita ancora si sta chiedendo se sia sbagliata lei, se avrebbe potuto fare o dire qualcosa di diverso nella loro storia. È una giovane donna normalissima, con una professione, una vita sociale, degli interessi. Ha commesso l’errore di innamorarsi di un uomo sbagliato, molto sbagliato. Se di errore si può parlare quando ci si innamora…
E nel cercare informazioni sull’argomento sono “incappata” in questa informazione sull’enciclopedia Treccani: la parola femminicidio esiste nella lingua italiana solo a partire dal 2001. Fino a quell’anno, l’unica parola esistente col significato di uccisione di una donna era uxoricidio. Ma uxoricidio, che comprende il termine latino uxor che significa moglie, alludeva per l’appunto solo all’uccisione di una donna in quanto moglie e veniva estesa anche agli uomini, quindi al coniuge in generale. Fino ad allora non avevamo una parola che alludesse all’uccisione della donna proprio in quanto donna. Nel 1992, la criminologa Diana Russell, usò in un proprio saggio il termine feminicide. Termine che nell’anno successivo, l’antropologa messicana Marcela Lagarde modificò in femminicidio per studiare e per ricordare i numerosissimi omicidi di donne che erano stati compiuti ai confini tra il Messico e gli Stati Uniti. E appunto, la parola femminicidio serviva proprio ad indicare questo tipo particolare di uccisione
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